sabato 5 maggio 2012

Kamome diner ( Naoko Ogigami , 2006 )

Giudizio: 4/10
Giapponesi in Finlandia

Uscito un anno prima del deludente Glasses/Megane , Kamome diner viene considerato dalla schiera di estimatori di Naoko Ogigami come il suo capolavoro: film ambientato in Finlandia, dove una giapponese in fuga non si capisce bene da che apre un bar-ristorante dove non mette piede mai nessuno.
Dove in Megane era l'isolotto dalla bianca sabbia il centro degli universi collidenti dei vari personaggi di passaggio, qui è il ristorante a divenirlo: una donna anch'essa in fuga dal Giappone, un'altra che perde la sua valigia all'aeroporto ed è costretta ad una sosta forzata in Finlandia che curiosamente per informarsi sull'eventuale ritrovamento della valigia si reca sempre sul molo per telefonare dove incontra immancabilmente un omino con un gatto in braccio, un ombroso uomo che insegna a fare il caffè e che si trasforma in ladro, un ragazzotto scroccone che con la scusa di essere stato il primo avventore del bar non paga mai, una alcolizzata in crisi sentimentale, quattro megere che guardano con astio dalla vetrina salvo poi essere accalappiate dalle squisitezze prodotte nel ristorante.

La solita carrellata di umanità incerta e misteriosa che vaga alla ricerca di improbabili cure per l'anima, senza alcun accenno al background di ognuno e con il consueto divenire di una storia che lascia immancabilmente con un pugno di mosche in mano.
Chiacchiere a non finire che esprimono una vacuità narrativa che infastidisce ed una struttura filmica circolare periodica che avviluppa non lasciando scampo alla noia incombente, che in Megane per lo meno veniva molto parzialmente mitigata dal paesaggio rilassante.
Qui invece dietro un velo di minimalismo e di presunta introspezione dopo pochi minuti si capisce l'andazzo ( che poi è quello tipico di tutti i film di Ogigami, come tragicamente si scoprirà al FEFF), non c'è nulla che faccia deviare il racconto dalla deriva affabulatoria senza alcun costrutto sempre ossessivamente accompagnata dal sottofondo pianistico che infastidisce all'estremo.
La gabbia autoriale e autorefernziale in cui vive cinematograficamente la regista oltre a suscitare sgomento, stanca e fa nascere numerose  domande sul concetto di cinema di Naoko Ogigami.
E' soprattutto la mancanza di una seppur minima indagine sui personaggi che lascia delusi, basando tutta la narrazione su un divenire fiacco e privo di qualsiasi interesse.
Ma ormai lo sappiamo, l'appassionato di cinema possiede un recondito ma ben radicato senso del masochismo che lo porta ad acclarare che al peggio, ahimè, non c'è mai fine.   

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