Giudizio: 7.5/10
I fantasmi dell'anima
Il Point of Inacessibility ( POI ) è il luogo geografico dell'Antartide più lontano dalla costa oceanica, ed è qui che è diretta la spedizione coreana guidata da un capitano cui il grande Kang-ho Song offre il suo volto enigmatico.
L'inizio è da cartolina stile WWF con riprese mirabolanti del continente bianco che incutono stupore o angoscia (a seconda dei gusti); la spedizione procede alacremente verso la meta e già si delineano i contorni dei sei prodi esploratori.
Ma il ritrovamento di un diario appartenuto agli esploratori britannici che 80 anni prima avevano tentato la sorte è foriero di novità che si insinuano pericolosamente nella storia: troppe cose sono simili nelle due spedizioni e allora questo "Antarctic Journal" liso e mal interpretabile diviene una sorta di feticco che aleggia in tutto il film.
Tra malattie strane, turbe visive e psichiche , misteriose sparizioni il gruppo tira avanti, col capitano nel ruolo di spietato negriero e insensibile, tra mille dubbi e difficoltà fino all'epilogo , drammatico e grandioso insieme.
Non lasciarsi ingannare dall'inizo del film: è solo il punto di partenza di un crescendo di angoscia e di claustrofobia psicologica ( eh sì, esiste anche negli spazi sterminati dell'Antartico) in cui si trovano immersi i protagonisti: fantasmi che si materializzano, provenienti dal vissuto e dai troppi nodi della vita non dipanati, sensi di colpa che esplodono con rabbia e stupefacente forza distruttiva dal profondo degli abbissi bianchi di neve e ghiaccio e l'anelito ,fin troppo spasmodico e ossessivo, a raggiungere il misterioso ed oscuro POI , forse luogo deputato alla catarsi o all'annientamento.
La tensione serpeggia neppure troppo sottotraccia nelle immense distese bianche, domina il film anche oltre quelle che sono le aspettative di noi spettatori. Questa è senz'altro la grandezza del film diretto (opera prima) da Lim Pil-seong con notevole dispendio di costi (un plauso al coraggio dei produttori) : aver creato un coacervo di tensione e di orrore psicologico, affatto scontati, che trovano il degno climax in un finale permeato di una tristezza infinita: la tristezza che deriva dal sapere che non si fugge dai fantasmi dell'anima.
L'inizio è da cartolina stile WWF con riprese mirabolanti del continente bianco che incutono stupore o angoscia (a seconda dei gusti); la spedizione procede alacremente verso la meta e già si delineano i contorni dei sei prodi esploratori.
Ma il ritrovamento di un diario appartenuto agli esploratori britannici che 80 anni prima avevano tentato la sorte è foriero di novità che si insinuano pericolosamente nella storia: troppe cose sono simili nelle due spedizioni e allora questo "Antarctic Journal" liso e mal interpretabile diviene una sorta di feticco che aleggia in tutto il film.
Tra malattie strane, turbe visive e psichiche , misteriose sparizioni il gruppo tira avanti, col capitano nel ruolo di spietato negriero e insensibile, tra mille dubbi e difficoltà fino all'epilogo , drammatico e grandioso insieme.
Non lasciarsi ingannare dall'inizo del film: è solo il punto di partenza di un crescendo di angoscia e di claustrofobia psicologica ( eh sì, esiste anche negli spazi sterminati dell'Antartico) in cui si trovano immersi i protagonisti: fantasmi che si materializzano, provenienti dal vissuto e dai troppi nodi della vita non dipanati, sensi di colpa che esplodono con rabbia e stupefacente forza distruttiva dal profondo degli abbissi bianchi di neve e ghiaccio e l'anelito ,fin troppo spasmodico e ossessivo, a raggiungere il misterioso ed oscuro POI , forse luogo deputato alla catarsi o all'annientamento.
La tensione serpeggia neppure troppo sottotraccia nelle immense distese bianche, domina il film anche oltre quelle che sono le aspettative di noi spettatori. Questa è senz'altro la grandezza del film diretto (opera prima) da Lim Pil-seong con notevole dispendio di costi (un plauso al coraggio dei produttori) : aver creato un coacervo di tensione e di orrore psicologico, affatto scontati, che trovano il degno climax in un finale permeato di una tristezza infinita: la tristezza che deriva dal sapere che non si fugge dai fantasmi dell'anima.
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