Giudizio: 8/10
Acqua sporca, grande film
La madre nell'ascensore stringe a sè la piccola , zuppe di una acqua melmosa dalla quale la ha appena carpita salvandola; il suo sguardo si posa sul lungo corridoio , inquietante quanto quello di kubrickiana memoria, dalla porta semiaperta spunta dapprima una mano, poi un piede e poi....
Scena madre bellissima, risolutiva del film ,che ribalta tutte le dolorose certezze che il povero spettatore aveva fatto sue; è un inganno visivo di grandissima efficacia, cui seguono attimi di profondissima tristezza e di commozione.
Hideo Nakata mette a segno un nuovo colpo dopo la saga di Ringu, costruendo un film bellissimo, un horror piscologico fuso con una ghost story, molto ben costruito e coerente.
Una giovane madre separata dal marito va a vivere con la figlioletta di sei anni in uno squallido casermone di periferia, cercando di superare le difficoltà che la separazione e la ricerca di un nuovo lavoro comportano.
La casa dove abitano si mostra ben presto più inquietante di quanto possa sembrare l'aspetto del condominio intero; dal piano superiore provengono stranissime infiltrazioni d'acqua vero elemento pulsante di tutto il film, l'acqua dei rubinetti sembra tutt'altro che salubre, strani rumori giungono dal piano superiore, uno zainetto rosso spunta nei luoghi più strani come fosse animato.
La donna scoprirà , grazie ad un rapido flashback, che al piano superiore viveva anni prima una bambina misteriosamente scomparsa e mai più ritrovata e che ora la casa stessa vive in un totale abbandono.
Nakata è bravissimo nel fondere le storie della giovane donna e quelle della figlia con quelle della fanciulla scomparsa , in un processo di identificazione fatto di esperienze comuni. Il suo è un grido di dolore contro l'infanzia violata, privata delle sue certezze, e nel contempo, un atto di difesa di coloro che altro non sono che anelli deboli di una catena di errori oltre che vittime designate.
Il film è ricchissimo di simbolismi, tutti sfruttati per accrescere tensione e immedesimazione, ha un suo ritmo costantemente e inesorabilmente incalzante, non va mai sopra le righe in uno stile cui ormai il regista ci ha abituato sin dai tempi di Ringu; le immagini sembrano sempre filtrate da un flou che gli dona quella parvenza di sfocato e sfuggente; insomma Nakata si afferma in modo definitivo come uno dei maggiori talenti del cinema giapponese e non solo per essere stato colui che con Ringu ha aperto nuove strade (e tante imitazioni).
Il finale del film può apparire come un tentativo di riempire il fossato che è stato scavato , addirittura speri in un altro imbroglio visivo che rimetta le cose a posto, ma basta un attimo, un breve attimo che si materializza con una figura sfocata alle spalle, per capire che non sarà così.
Scena madre bellissima, risolutiva del film ,che ribalta tutte le dolorose certezze che il povero spettatore aveva fatto sue; è un inganno visivo di grandissima efficacia, cui seguono attimi di profondissima tristezza e di commozione.
Hideo Nakata mette a segno un nuovo colpo dopo la saga di Ringu, costruendo un film bellissimo, un horror piscologico fuso con una ghost story, molto ben costruito e coerente.
Una giovane madre separata dal marito va a vivere con la figlioletta di sei anni in uno squallido casermone di periferia, cercando di superare le difficoltà che la separazione e la ricerca di un nuovo lavoro comportano.
La casa dove abitano si mostra ben presto più inquietante di quanto possa sembrare l'aspetto del condominio intero; dal piano superiore provengono stranissime infiltrazioni d'acqua vero elemento pulsante di tutto il film, l'acqua dei rubinetti sembra tutt'altro che salubre, strani rumori giungono dal piano superiore, uno zainetto rosso spunta nei luoghi più strani come fosse animato.
La donna scoprirà , grazie ad un rapido flashback, che al piano superiore viveva anni prima una bambina misteriosamente scomparsa e mai più ritrovata e che ora la casa stessa vive in un totale abbandono.
Nakata è bravissimo nel fondere le storie della giovane donna e quelle della figlia con quelle della fanciulla scomparsa , in un processo di identificazione fatto di esperienze comuni. Il suo è un grido di dolore contro l'infanzia violata, privata delle sue certezze, e nel contempo, un atto di difesa di coloro che altro non sono che anelli deboli di una catena di errori oltre che vittime designate.
Il film è ricchissimo di simbolismi, tutti sfruttati per accrescere tensione e immedesimazione, ha un suo ritmo costantemente e inesorabilmente incalzante, non va mai sopra le righe in uno stile cui ormai il regista ci ha abituato sin dai tempi di Ringu; le immagini sembrano sempre filtrate da un flou che gli dona quella parvenza di sfocato e sfuggente; insomma Nakata si afferma in modo definitivo come uno dei maggiori talenti del cinema giapponese e non solo per essere stato colui che con Ringu ha aperto nuove strade (e tante imitazioni).
Il finale del film può apparire come un tentativo di riempire il fossato che è stato scavato , addirittura speri in un altro imbroglio visivo che rimetta le cose a posto, ma basta un attimo, un breve attimo che si materializza con una figura sfocata alle spalle, per capire che non sarà così.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.