Giudizio: 8.5/10
Horror da antologia
Acclamatissimo in patria e autentico oggetto di culto tra gli amanti dell'horror (meglio se in salsa giapponese), di primo acchitto si è portati a considerarlo null'altro che la risposta orientale a "The Blair Witch Project", ed in un certo senso la cosa è vera: la struttura filmica, le atmosfere, gli espedienti tecnici e , perchè no, la suspance, richiamano molto il film evento americano. Pur partendo quindi da presupposti non originalissimi, Koji Shiraishi, dirige comunque un film bello, duro, in certi momenti indimenticabile che dovrebbe entrare di diritto in tutte le videoteche dei cinefili.
Tutto il film altro non è che un documentario prodotto da un giornalista studioso del paranormale che seguendo tracce a volte molto labilmente segnate si trova ad indagare su dei riti che vedono come protagonista Kagutaba , un inquietante spirito che alberga in un paesino alle pendici delle montagne. La pellicola ha quindi il taglio del documentario, a metà tra cronaca e leggenda, inframmezzato solo da spezzoni di programmi televisivi che hanno come tema il paranormale. Ebbene, ci si può chiedere, cosa c'è di tanto orrorifico? Domanda lecita, indubbiamente, almeno fino a che non si goda della visione del film: rimestio continuo nelle ataviche leggende che affollano gli incubi dei giapponesi ,concentrato di tensione crescente, suspance montante partendo da zero, momenti in cui si affondano le dita nella poltrona o nelle carni del malcapitato compagno di visione, costruito, il tutto, con un giusto mixing di telecamera a mano che insegue e di scene formalmente impeccabili e, si badi bene, senza neppure uno schizzo di sangue.
E' proprio il crescendo della tensione, molto cinicamente, lentissimo all'inizio, fino a sfociare in un finale che sembra più un incubo sovrannaturale, l'aspetto che più fa incollare gli occhi allo schermo , con la paura che prima o poi anche le nostre carni possano sussultare ed urlare in un processo di immedesimazione che si autoalimenta senza che sia possibile arrestarlo. Quando tutto sembra cupamente e angosciosamente finito ecco il colpo finale: 5 minuti , gli unici, che non fanno parte del documentario , ma che sono a loro volta documento finale, spiazzante, che portano all'epilogo amarissimo ed enigmatico insieme che ci trapana nella testa una serie di domande sui fatti che sembravano avere avuto già una risposta.
Un grande film insomma , non solo un horror notevole, anche grazie ad una regia che ha saputo rendere alla perfezione il senso di angoscia con uno stile formalmente quasi perfetto dal punto di vista visivo: la produzione di genere dell'estremo oriente si arrichisce insomma di una altra perla, alla faccia di chi , ancora oggi, osa relegare questi lavori nei recinti del "cinema minore".
Tutto il film altro non è che un documentario prodotto da un giornalista studioso del paranormale che seguendo tracce a volte molto labilmente segnate si trova ad indagare su dei riti che vedono come protagonista Kagutaba , un inquietante spirito che alberga in un paesino alle pendici delle montagne. La pellicola ha quindi il taglio del documentario, a metà tra cronaca e leggenda, inframmezzato solo da spezzoni di programmi televisivi che hanno come tema il paranormale. Ebbene, ci si può chiedere, cosa c'è di tanto orrorifico? Domanda lecita, indubbiamente, almeno fino a che non si goda della visione del film: rimestio continuo nelle ataviche leggende che affollano gli incubi dei giapponesi ,concentrato di tensione crescente, suspance montante partendo da zero, momenti in cui si affondano le dita nella poltrona o nelle carni del malcapitato compagno di visione, costruito, il tutto, con un giusto mixing di telecamera a mano che insegue e di scene formalmente impeccabili e, si badi bene, senza neppure uno schizzo di sangue.
E' proprio il crescendo della tensione, molto cinicamente, lentissimo all'inizio, fino a sfociare in un finale che sembra più un incubo sovrannaturale, l'aspetto che più fa incollare gli occhi allo schermo , con la paura che prima o poi anche le nostre carni possano sussultare ed urlare in un processo di immedesimazione che si autoalimenta senza che sia possibile arrestarlo. Quando tutto sembra cupamente e angosciosamente finito ecco il colpo finale: 5 minuti , gli unici, che non fanno parte del documentario , ma che sono a loro volta documento finale, spiazzante, che portano all'epilogo amarissimo ed enigmatico insieme che ci trapana nella testa una serie di domande sui fatti che sembravano avere avuto già una risposta.
Un grande film insomma , non solo un horror notevole, anche grazie ad una regia che ha saputo rendere alla perfezione il senso di angoscia con uno stile formalmente quasi perfetto dal punto di vista visivo: la produzione di genere dell'estremo oriente si arrichisce insomma di una altra perla, alla faccia di chi , ancora oggi, osa relegare questi lavori nei recinti del "cinema minore".
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