mercoledì 2 settembre 2009

Noriko's dinner table ( Sion Sono , 2006 )



Giudizio: 9/10
Filosofia applicata al Cinema


Prima di iniziare a parlare di questa pellicola occorre necessariamente sgombrare il campo in maniera netta: non è il sequel-prequel di "Suicide Circle" , come qualche campagna pubblicitaria furbesca vuol fare intendere; vero , le due storie si intersecano in un paio di occasioni (tra le quali la spettacolosa scena del suicidio di massa nella stazione), ma i due film vanno tenuti rigorosamente distinti, almeno sul piano narrativo, perchè sul piano filosofico-sociologico indubbiamente appartengono allo stesso filone intrapreso da Sion Sono nella descrizione della società nipponica.Vediamo Noriko, giovane ragazza della provincia annoiata e delusa dal piatto scorrere della sua esistenza, scappare alla volta di Tokyo per incontare la sua amica virtuale Ueno Station 54 , che in realtà si chiama Kumiko e che, nella vita reale, è molto più sveglia e intraprendente di Noriko: svolge come lavoro , infatti, quello di sostituire all'interno delle famiglie lacerate da separazioni, morti , scomparse, l'elemento venuto a mancare; inoltre è membro di spicco del Suicide Circle che già conosciamo bene, motivo per cui le due ragazze saranno testimoni del drammatico suicidio di massa della stazione di Shinjuku.Nel frattempo Yuka la sorella minore di Noriko fungge anch'essa di casa alla ricerca della sorella, seguita a sua volta dal padre , rimasto nel frattempo vedovo per il suicidio della moglie, intenzionato a rintarcciare le figlie e a scoprire cosa si cela dietro il Suicide Circle. Insomma inseguimento continuo a buon fine e apparentemente con lieto fine grazie anche a Kumiko che , come impone l'etica del suo lavoro, ricuce la famiglia. Ma la notte si sa porta consiglio e l'alba ci porterà una conclusione molto amara.Di fronte a questo canovaccio così apparentemente prolisso e confuso, non si può non provare un minimo di stordimento almeno, anche perchè Sono, da buon furbastro, si diverte a render le cose ancora più apparentemente ingarbugliate: interseca i piani narrativi, divide il film (lungo, ben oltre le 2 ore e mezza) in capitoli in cui ognuno dei protagonisti si fa voce narrativa fuori campo fino a portare ad una soggettivizzazione estrema, mostra eventi e verità come sempre di molteplice lettura.Ma è il suo scalpello a volte raffinato , a volte brutale, che scava nelle viscere del degrado della società nipponica quello che supporta il film in maniera fantastica: il suo sarcasmo nel descrivere la crisi della famiglia fino all'alienazione, la crisi di identità e l'insoddisfazione delle nuove generazioni, il sempiterno rapporto con la morte sono portati alla luce, liberati da ogni corteccia sovrastrutturale, descritti senza pietà fino al midollo, usando una tecnica di ripresa molto rigorosa, formalmente classicheggiante, pronta ad esprimere con grande forza i sentimenti che emergono.Per questo il film va considerato quasi più un trattato di filosofia applicata che un opera cinematografica, ed è per questo, inoltre, che risulta più potente e lacerante del pur bellissimo "Suicide Circle" che soffriva però del difetto di essere un'opera incompiuta: qui tutto è più limpido, chiaro , nonostante i giochini di Sion Sono che portano fuori strada, qui c'è una struttura narrativa lineare pur nella sua altissima complessità; non è in contrasto con la precedente opera, anzi, è semplicemente più vero, più totalizzante e di una bellezza inquietante.Ovviamente noi italici non abbiamo avuto, almeno per ora, il privilegio di poter vedere questo film , come tanti altri: meglio buttarsi sui vacanzieri, sugli italiani in gita e sui Muccini di turno.

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